So bbenuti l’americani…ma pure li giapponesi
giugno 27, 2017 Lascia un commento
La premessa… anzi due, non scrivo, anzi non pubblico nulla da un sacco di tempo. Voglia poca, sui nerazzurri stendiamo un pietoso velo e in attesa che mi facciano tornare “l’Interite” con qualche buon risultato, neanche mi va di curare la rubrica libri e vini del mese. Comunque ce ne sono abbastanza per aumentare la miopia o per prendersi la cirrosi, se si vuole consultarli.
Avrei delle cose pronte per i racconti apocrifi scritti tanto tempo addietro, da sistemare ma pure quel discorso mi affatica. Insomma non ho voglia di fare una beneamata mazza. Scrivere, signori miei e` difficile e lavorare stanca (cit.).
Pero`,questa e`
la seconda premessa, quando la mia collega nonche` scrittrice vera e pure editrice Cristina Lattaro mi ha chiesto di scrivere una breve testimonianza sull’azienda in cui abbiamo entrambi lavorato, perche` a Rieti si sarebbe tenuta una celebrazione della stessa di li a poco, non ho potuto esimermi. Troppo importante quel pezzo, quel lembo della mia vita interconnesso, abbarbicato alla Texas Instruments. Molto di cio` che sono oggi, non manchero` mai di ripeterlo, lo debbo a quel periodo e a quell’epopea.
Dunque, trovandomi la pappa pronta e ad avvenuta celebrazione, mi son detto, perche` non pubblicarlo su questo mio Blog inaridito dall’accidia? Buona lettura, soprattutto a coloro che magari si imbatteranno in questa storia e vi si riconosceranno, per averla in tutto o in parte vissuta con me o come me.
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La mia esperienza con Texas Instruments e` piu` recente di quella di altri ex Tiers Italiani (cosi` si chiamano i dipendenti della compagnia). Non ho lavorato a Rieti, sono stato assunto direttamente nel 1990 per il sito di Avezzano, all’epoca punta di diamante della produzione di memorie DRAM in Europa.
E, sono stato un Tier sino al 1998, anno in cui la compagnia si e` disimpegnata dalla produzione di memorie e ha ceduto l’intera divisione, incluso il sito di Avezzano, alla Micron.
Aneddoti e storie, ce ne sono tanti. Parto dalla conclusione di un’esperienza per me incredibilmente formativa durata otto anni. Si, il primo ricordo e` quello del giorno del distacco, quando ufficialmente ci venne detto che saremmo passati a Micron. Certo, voci e rumors negli anni, di una possibile cessione, si erano rincorsi sistematicamente e altrettanto sistematicamente venivano bollati come bufale. Stavolta pero` era vero, maledettamente vero.
Un certo giorno venimmo tutti convocati in “cafeteria” (ovvero i locali della mensa), l’allora amministratore Marcucci ci diede la notizia: “ci ha comprato Micron ed e` la migliore cosa che potesse capitarci”… piu` o meno disse cosi`.
Si levo` istintivamente e simultaneamente tra gli astanti un brusio: “Micron? Ecchicazz e` Micron?”
Capito? Questo era il sentimento del Tier “quadratico medio”. Pochi conoscevano la nuova compagnia, al punto a riunione finita di andare immediatamente sul web per documentarsi, subito realizzando che si usciva in quel momento da un impero, la Texas, storica azienda radicata in Italia da oltre un trentennio, per entrare in una compagnia allora “all american” (noi il primo vero insediamento al di fuori degli USA) e perdipiu` con il quartier generale a Boise Idaho, nord ovest del paese con poca o zero cultura di multinazionale. “Voglio vedere la frontiera prima che sia troppo tardi” (cit. Balla coi lupi). Noi forse quella frontiera in quel momento non avremmo voluto esplorarla.
Poi e` andata bene anche con Micron ma al momento la sensazione netta di aver perso tantissimo e di un’epoca d’oro che terminava era il sentimento dominante. O almeno, era il mio.
Mi spiego meglio: La Texas per noi ragazzotti di una provincia assonnata e noiosa, non esattamente la terra delle grandi opportunita`, ha rappresentato la possibilita` di crescere e imparare, talvolta di viaggiare, conoscere altre culture.
TI, l’acronimo veniva parafrasato nel mercato da altre compagnie come “Training Institution”, intendendo cosi` un’azienda che quasi a fondo perduto investiva sulla formazione e sviluppo delle persone che poi facevano la loro fortuna all’interno o diventavano molto appetibili sul mercato andando a fare la differenza in altre aziende, portando con se tutte le conoscenze e le esperienze maturate.
Conoscenze e esperienze, per persone come me che da appena assunte non sapevano nulla e venivano catapultate in una realta`, una modernita` sino ad allora neanche sognata.
E melting pot, perche` se come dicono a Rieti “so bbenuti l’americani” da noi arrivarono pure in grande numero i giapponesi, chi li aveva mai visti sino ad allora se non in qualche film di Kurosawa? E, neanche molti di loro avevano mai messo il becco fuori dal loro paese, ancora all’inizio degli anni 90 ma Avezzano nacque come copia conforme dello stabilimento di Miho, cosi` eccoli qui.
Molte delle storie piu` gustose riguardano il mio rapporto con i giapponesi che personalmente adoro, come adoravo la sensazione di esser stato proiettato in un “Manga” perpetuo, con personaggi che sembravano usciti dalla tradizione fumettistica nipponica. Il rapporto con loro, nostri maestri di allora, ci cambio` e apri` a un mondo lontanissimo. Ad onor del vero, anche loro ne uscirono cambiati e non sempre in meglio.
Ad esempio ne ricordo uno piuttosto giovane che lavorava nella mia stessa area e andava in giro in Clean Room canticchiando il gingle di Colpo Grosso, un programma di quegli anni, un gioco a quiz pruriginoso presentato da Umberto Smaila popolato da ragazze procaci e decisamente poco vestite. Una roba che pure la censura giapponese odierna non avrebbe mai permesso, immaginate che impatto poteva avere su un ragazzo proveniente da un’altra galassia. Dicevo, questo andava in giro canticchiando allegramente il motivetto che emesso da lui grosso modo suonava cosi`: “Colpo Glosso! Liccoplimi di Baci…Blinda alla foltuna festeeggia con meee!” ovviamente con debita sostituzione R con L che proprio (anzi ploplio) non riusciva a pronunciare.
Noi morivamo dal ridere. In ogni caso, voglio sottolineare che arrivarono persone di gran competenza come il mio primo Sensei. Shock culturale vicendevole e contaminazione continua. Uno Yoshiaki parlava, caso raro, un buon inglese, persona di grande profondita`, cultura e sensibilita`. Appassionato di Storia e di arte, mi aspettava all’ingresso dello stabilimento tutte le mattine alle otto ed entravamo insieme, trascorrendo ore infinite a lavorare e nel frattempo a confrontarci. Lui proveniente dalla patria degli elettrodomestici avanzati, all’epoca in Giappone non era cosi` infrequente, non possedeva un televisore e lo vedeva come oggetto infernale che avrebbe distolto l’attenzione della famiglia dal confronto, dalla conversazione, dal curarsi l’uno dell’altro.
Una volta ripartito, mi scrisse dopo qualche tempo relazionandomi: “ora grazie a te oltre alla macchina del caffe` che mi hai regalato, possiedo un televisore, videoregistratore e stereo”. La sua vita insomma per colpa mia, non sarebbe stata piu` la stessa.
Potrei raccontare dell’altro personaggio che ogni giorno alla stessa ora passava trai banchi di lavoro in Clean Room strillando con voce alla Barry White (con gli occhi a mandorla) “Housekeeping” facendo sobbalzare tutti quanti e invitando a rispettare il rito della pulizia giornaliera della propria postazione, mentre una musica d’ambiente si spandeva ovunque. Dovevi mollare qualsiasi cosa stessi facendo e metterti a pulire sino al termine della musica, non c’erano santi e questo qui passava e ripassava a controllare e ti gracchiava vicino “Housekeeping”. Il senso della disciplina, della perfetta routine e dell’ordine, una cosa di cui solo tempo dopo ho compreso il significato.
Ma i giapponesi non erano solo ordine, pragmatismo e disciplina…C’era una macchina in produzione che non ne voleva sapere di andare, senza apparenti spiegazioni tecniche, o razionali. Un classico caso di “ghost in the machine”. Un bel giorno passo vicino a quest’oggetto posseduto dal demonio e vedo che funziona a pieno regime. Noto inoltre un foglietto scritto in ideogrammi, una specie di preghiera shintoista. Faccio per rimuoverlo perche` comunque questo pezzo di carta li non poteva starci e vengo bloccato dall’operatore addetto alla macchina: “Fermo fermo per carita` non toccarlo. Lo ha messo Morinaga San e da quel momento questa funziona e non si rompe piu`”. Il Giappone e i giapponesi, sospesi tra pragmatismo e spiritualita`, un po’ come noi italiani, “non e` vero ma ci credo” diceva Eduardo.
E ancora, un paese in bilico tra tradizione e modernita`, come verificai quando finalmente andai a Tokyo per vedere dei fornitori. Capitava di girare in alcune strade come Ginza e se non fosse stato per gli occhi a mandorla delle persone scambiarla per una strada di una metropoli americana, girare l’angolo e trovarsi di fronte un tempietto con giardino Zen o una casa tradizionale con il laghetto delle carpe.
Ricordo quando venni scortato dai miei gentilissimi accompagnatori a visitare un produttore di alcune parti di ricambio che si fabbricavano solo in Giappone, poco piu` che delle guarnizioni, costosissime. Mi portarono in un quartiere che sembrava residenziale di casette minuscole, una attaccata all’altra. Bussano alla porta di una casa, si scende in una specie di scantinato dove in pratica mi trovo di fronte al grande produttore: un piccoletto di eta` impredicibile che ricorda tanto quello che fabbricava gli occhi dei replicanti in Blade Runner. Se non l’avessi visto non avrei potuto crederci, noi compravamo e importavamo in Italia dei pezzi prodotti manualmente da questo signore in modo semi-artigianale, nello scantinato e semplicemente sotto una comune cappa da laboratorio.
E che dire delle surreali riunioni in sale aziendali nipponiche, come quella al cospetto di un boss supremo seduto all’altro capo di un tavolo infinito e circondato dai suoi collaboratori, i piu` vicini a lui per ordine di grado e importanza. Ogni posto a quel tavolo corredato da posacenere e fiammiferi. Si poteva fumare! Anzi ricordo l’apprezzamento e gli “ohhh” di stupore quando per mettermi allo stesso livello io che fumavo come una ciminiera estrassi dalla giacca il pacchetto di Marlboro rosse. La conversazione e il meeting si snodavano cosi`: Io parlavo o il boss parlava, uno dei suoi vice traduceva in mia o sua direzione. Due ore di riunione e specifiche complesse con il capo che non mi rivolse mai direttamente la parola. Salvo scoprire poi la sera a cena dopo un numero indeterminato di Sake che quello l’inglese lo parlava eccome ma la forma aveva un senso quanto la sostanza, e mi stava mettendo alla prova, non fidandosi di un Gaijigin sotto i trent’anni che rappresentava un’azienda tra l’altro americana. Secondo lui andavamo (mi disse) in Giappone per attentare alle virtu` delle loro donne e lui aveva due figlie femmine…la paura e il diffidare dei diavoli bianchi occidentali, forse ancora retaggio di Enola Gay…
Senza TI non avrei mai avuto accesso a tutto un universo e ne avrei tantissime da raccontare, la finisco qui, riavvolgendo il nastro dei ricordi sino a quel fatidico giorno dell’assunzione, quando per andare a Citta` Ducale in una giornata di pieno inverno sbagliai strada e finii su un cucuzzolo innevato. Dovetti scendere a spingere la macchina che si era impantanata non andando piu` ne su ne giu`. Mi presentai cosi` inzaccherato e infangato a firmare il contratto pensando “se questi sono i presupposti non durero` piu` di una settimana”… E` durata otto anni e per quel che mi riguarda ancora dura e ci sara` per sempre.
Grazie TI!
Avezzano, Maggio 2017
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